dal DeBernardi's Blog
Il governo “Goldmonti” è tanto dannoso quanto inutile
22 novembre 2011 (MoviSol) – La cosa peggiore del governo “tecnico” di Mario Monti non è tanto nella dura politica di tagli, dismissioni, licenziamenti e aumento delle tasse che praticherà, ma quanto il fatto che essa sarà completamente inutile. Infatti il 21 novembre, alla riapertura dei mercati dopo il voto di fiducia, la borsa è crollata e lo spread è tornato a salire, segno inequivocabile che l’”effetto Monti” era una grande balla. In realtà, il contagio si è già esteso alla Francia, con Moody’s che minaccia la retrocessione del rating transalpino e l’interrogativo inevitabile: sospenderanno la democrazia anche in Francia per salvare l’euro?
In secondo luogo, la dimensione strategica del governo “tecnico” di Goldman Sachs/Monti non va sottovalutata. Per la prima volta, un militare in servizio diventa ministro della Difesa, un’assoluta anomalia nelle democrazie occidentali. L’Ammiraglio Giampaolo Di Paola è attuale capo del Comitato Militare della NATO, la più alta autorità militare dell’Alleanza. In questa carica, Di Paola ha coordinato i bombardamenti “equi e solidali” in Libia, cosa di cui si è vantato in un discorso pronunciato l’8 ottobre scorso a Bucarest. L’ “impegno dell’Alleanza in Libia” ha detto Di Paola, “è la prima operazione ad aver luogo dopo che il Concetto Strategico è stato approvato dai capi di Stato e di Governo a Lisbona. Perciò potremmo pensare e affermare che l’operazione in Libia è stata la prima applicazione di quel concetto. Per cui si tratta di un significato politico molto importante”.
Si è trattato di uno dei primi casi in cui la comunità internazionale “ha chiesto a noi tutti di agire a suo nome per proteggere la popolazione dalle azioni della propria leadership. Si tratta di una risoluzione abbastanza notevole. La protezione dei popoli è ora in qualche modo riconosciuta come un valore dalla Comunità Internazionale, che può giustificare, in alcuni casi, anche l’uso della forza militare”. In realtà, la NATO è andata ben oltre la risoluzione iniziale dell’ONU.
La presenza di Di Paola al comando della Difesa di un paese strategicamente così importante per il Mediterraneo come l’Italia assicura che nel caso di future operazioni contro la Siria o l’Iran, il meccanismo decisionale sia ancor più oliato.
Così come sarà oliato il meccanismo degli Esteri, dove l’ambasciatore Terzi ha già segnalato un perfetto allineamento al blocco anglo-francese nel suo primo incontro internazionale, quello col ministro degli Esteri tedesco Westerwelle.
La nomina di Corrado Passera, il principale banchiere italiano allo Sviluppo (ex Industria) e Infrastrutture suona come una beffa. Un esperto di economia di carta dovrebbe rilanciare l’economia reale. Il nuovo ministro del Welfare, Elsa Fornero, sostiene da anni il passaggio ad un pieno sistema contributivo, il che significa un taglio netto nel livello medio delle pensioni.
Dato che, come abbiamo detto, la “cura Monti” fallirà nel suo scopo – salvare l’euro – ma ucciderà l’economia italiana, è bene insistere fin d’ora sulla necessità di stilare un “Piano B” per l’uscita dall’euro, come ha fatto nuovamente il prof. Paolo Savona, ex ministro e presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, in una conferenza il 18 novembre ad Ascoli Piceno.
“Se l’Italia entra in una deflazione grave, quale sarà la capacità di sopportazione sociale in un paese con 16 milioni di pensionati e 20 milioni di lavoratori?”, si è chiesto il prof. Savona alla conferenza “Quale futuro per l’Europa”, organizzata da Piceno Tecnologie. Per questo, i gruppi dirigenti “hanno il dovere di avere un Piano A e un Piano B”. Il Piano A dice quanto ci costa rimanere in Europa, e il Piano B quanto ci costa uscire, ad esempio come si stabilirà il tasso di cambio. Ci siamo accorti in ritardo, ha spiegato polemicamente Savona, di avere un debito denominato in una valuta “estera”, in quanto l’euro non è controllato dal governo. “Io sono europeista convinto, ma non sono afflitto dalla Religione Europea”, ha affermato, accusando le classi dirigenti di essersi mossa “con troppa superficialità” aderendo all’euro invece di fare, come la Gran Bretagna, uso della clausola di “opting out” nel Trattato di Maastricht. In seguito, con il Trattato di Lisbona, “abbiamo cambiato la Costituzione con un atto illegittimo”. Ora, si spera che essendoci accorti del debito in moneta “straniera”, si apra un dibattito e non si rimanga nella religione europea.
Alla stessa conferenza, l’illustre costituzionalista e già ministro prof. Giuseppe Guarino ha smontato con grande maestria la tesi secondo cui il declino dell’Italia sarebbe dovuto al debito pubblico. Grazie al debito pubblico, l’Italia ha avuto tassi di sviluppo dal 1948 al 1980 che la vedono al primo posto nel mondo. Col passaggio dal mercato comune al mercato unico, l’UE ha adottato la “tecnica di Tamerlano”, e cioè di distruggere tutto ciò che trovava sulla sua strada. Raccontando un episodio della vita di Luigi XIV il giovane, il prof. Guarino ha paragonato le terapie della UE ai salassi somministrati dai grandi medici francesi e lombardi, che stavano per stroncare il re francese finché non fu chiamato un medico locale che gli somministrò un cordiale, e il re guarì. “Ci chiedono di fare sviluppo, ma se ci fanno salassi da 50, 100 e 200 miliardi, come facciamo a fare lo sviluppo?”, ha chiesto Guarino tra gli applausi.
La sospensione della democrazia in Italia e Grecia avvicina la guerra
18 novembre 2011 (MoviSol) – La rimozione di governi democraticamente eletti in Italia e Grecia e la loro sostituzione con “governi dei banchieri” ha portato il mondo più vicino ad una guerra mondiale. La liquidazione delle democrazie parlamentari nel fianco sud dell’Europa segnala la volontà delle élite transatlantiche di non voler cercare una soluzione al collasso del sistema finanziario globale, ma di guadagnare tempo mentre prepara la guerra.
Il Presidente Obama è stato tra i protagonisti dei colpi di stato in Italia e Grecia. Quando Berlusconi ha rassegnato le dimissioni sabato 13 novembre, si è affrettato a chiamarle “positive”. Sarkozy e Merkel si sono uniti al coro, dando la benedizione a Mario Monti, il consigliere di Goldman Sachs ed ex Commissario UE che Napolitano ha incaricato motu proprio di formare il governo dei tecnici. La Merkel ha dato lezioni di buon gusto spingendosi a dire che “la vera Italia sta col Presidente Napolitano e non con Berlusconi”.
Il governo italiano non è stato sfiduciato né dagli elettori né dal Parlamento, ma dall’uso del terrore finanziario. Il credito sovrano dell’Italia e quello delle sue banche sono stati fatti oggetto di speculazione mirata e massiccia, dapprima scatenata dalla famosa retrocessione di Moody’s lo scorso maggio e poi dalla decisione dell’EBA, l’autorità bancaria europea, che ha costretto le banche internazionali a sbarazzarsi di titoli italiani. Mentre la prima ondata portò i tassi del decennale sopra il 5%, la seconda (aggravata dall’annuncio del referendum greco) li ha spinti oltre il 7%.
Washington, Londra, Parigi e Berlino hanno messo alle strette l’Italia accusandola far fallire l’Eurosistema a causa di una “mancanza di credibilità” del suo esecutivo. L’Italia è stata commissariata dalla BCE mentre l’UE “collaudava i poteri della nuova governance economica rafforzata sull’Italia”, come ha dichiarato il Commissario Olli Rehn il 9 novembre, prima di mandare un gruppo di ispettori UE e BCE a Roma per monitorare l’applicazione delle misure raccomandate.
Infine, quando è stata presa di mira Mediaset da una speculazione guidata da due fondi di investimento USA, che hanno abbattuto il titolo del 12% in un sol giorno, Berlusconi ha gettato la spugna ed è salito al Quirinale.
Durante l’intera fase, il Presidente Napolitano ha abusato dei suoi poteri costituzionali, agendo come il vero esecutivo. Era lui l’interlocutore dei capi di governo di USA, Francia e Germania, della Commissione UE e della BCE. Un giorno sapremo i veri retroscena delle trame di Napolitano con i capi di potenze straniere per imporre un governo extraparlamentare made in Bruxelles.
Il capo di questo governo di non eletti parla come un sicario economico. Nel corso del programma “L’Infedele” a La7 lo scorso 26 settembre, Monti ha dichiarato che “oggi, secondo me, stiamo assistendo – non è un paradosso – al grande successo dell’Euro, E qual è la manifestazione più completa del grande successo dell’Euro? La Grecia. Perché? Perché l’Euro è stato creato sì per avere una moneta unica, ma soprattutto per convincere la Germania che ha fatto il grande sacrificio di rinunciare al marco per avere una moneta comune europea, che attraverso l’euro, attraverso i vincoli che nascevano con l’euro, la cultura della stabilità – il Presidente Ciampi richiamava sempre la cultura della stabilità – alla tedesca si sarebbe un po’ per volta diffusa a tutti. Quale caso di scuola si sarebbe mai potuto immaginare, caso limite, di una Grecia che dà, è costretta a dare abbastanza peso alla cultura della stabilità e sta trasformando se stessa?”
Nel “caso di scuola” greco, come in Italia, la democrazia è stata sospesa per permettere macelleria sociale. Il nuovo Primo ministro, Lucas Papademos, è stato vicepresidente della Banca Centrale Europea e governatore della banca centrale greca. Dopo aver lasciato la BCE nel 2010 è stato consigliere finanziario del Primo ministro uscente Giorgio Papandreu, riguardo all’esecuzione dei salvataggi e del “memorandum” UE. Papademos non ha mai ricoperto una carica elettiva. Il suo governo è pieno di ex commissari UE. Il vero potere dietro il nuovo Primo ministro è quello di Horst Reichenbach, che presiede la task force della Commissione Europea per la Grecia, che sarà potenziata e diffusa nei vari dicasteri per “assistere” all’applicazione dei programmi di austerità e di “ristrutturazione” dell’economia greca.
NON SVENDERE IL PATRIMONIO PUBBLICO
DI UGO MATTEI
Caro direttore, per incassare 6 miliardi, circa l’8% di quanto paghiamo di interessi sul debito pubblico ogni anno, pare andranno in vendita 338.000 ettari di terreni agricoli che oggi sono proprietà pubblica. Se non si farà attenzione, le conseguenze di una tale scelta, che in Africa è nota come land grab (appropriazione di terra) operata da grandi gruppi multinazionali, potrebbero essere serie, e portarci verso la dipendenza alimentare dall’agrobusiness. Potrebbero derivarne danni sociali ingenti subiti in primis dai nostri piccoli agricoltori che non potendo competere con quei colossi nell’acquistare, finirebbero per vendere anche i loro appezzamenti (come già avvenne quando i latifondisti comprarono le proprietà comuni messe in vendita da Quintino Sella).
La scelta di vendere è definitiva e ci riguarda tutti, presenti e futuri. Andrebbe fatta con grande cautela soprattutto quando ci si trova sotto pressione internazionale.
Il processo di elaborazione teorica e pratica della categoria giuridico-costituzionale dei beni comuni discende da questa considerazione. Il cambiamento dei rapporti di forza fra settore privato azionario e settore pubblico a favore del primo rende i governi così deboli da non poter operare nell’interesse del popolo sovrano.
La necessità urgente di forte tutela giuridica dei beni comuni come proprietà di tutti che i governi devono amministrare fiduciariamente nasce da questo squilibrio di potere prodotto dalla globalizzazione.
Lo Stato italiano è proprietario, direttamente o tramite enti pubblici, di ingenti beni che fanno gola a molti.
Gran parte di questi, che forniscono utilità indispensabili per garantire la sovranità dello Stato o la sua capacità di offrire servizi pubblici, non possono essere trattati come fossero proprietà privata del governo in carica.
Alcuni dei beni dello Stato sono costituiti da edifici, acquedotti e terreni agricoli che soccorrono direttamente bisogni fondamentali della persona come coprirsi, bere o nutrirsi. Altri sono infrastrutture, come strade, autostrade, aeroporti, e porti che richiedono un assiduo investimento in manutenzione. Altri sono beni che i giuristi classificano come immateriali come le frequenze radiotelevisive, gli slot aeronautici (per esempio la tratta aerea Milano-Roma), i brevetti ottenuti con la ricerca pubblica, le partecipazioni pubbliche nell’industria produttrice di beni o servizi. Ancora, importanti beni servono allo Stato per erogare i suoi servizi alla collettività: scuole, ospedali, caserme, università, cimiteri, discariche, ambasciate. Ci sono poi i beni culturali: statue, monumenti, dipinti, reperti archeologici, lasciti del passato che dobbiamo trasmettere ai nostri successori. Per farlo occorre mantenerli accessibili a tutti godendone in comune, al di fuori dal modello del «divieto di accesso» che è tipico della proprietà (sia essa pubblica o privata). Beni comuni, governati dalla stessa logica di accesso sono poi i parchi, le foreste, i ghiacciai, le spiagge, il mare territoriale, l’aria da respirare o l’acqua da bere, a loro volta beni di grande valore collettivo il cui ingente valore d’uso non è tradizionalmente patrimonializzato.
Sebbene dotato di un patrimonio ingentissimo (fra cui ingenti riserve auree), il nostro settore pubblico è impoverito.
I Comuni sono sul lastrico; gli edifici pubblici cadono spesso a pezzi e il territorio non riceve manutenzione. L’Italia è come un nobile decaduto che non sa gestire le sue ingenti proprietà, viene truffato dal maggiordomo e continua a indebitarsi per poter mantenere il proprio dispendioso stile di vita. Proprio come la nobiltà francese finì per svendere i propri palazzi, anche l’Italia, oberata dai debiti, sta vendendo (spesso svendendo) il suo patrimonio pubblico per «far cassa» e tirare avanti. Eppure se il patrimonio pubblico rimasto fosse amministrato davvero nell’interesse comune si potrebbero ottenere parecchi quattrini: molte concessioni (acque sorgive, autostrade, stabilimenti balneari, frequenze radiotelevisive, cave) sono rilasciate molto al di sotto del valore di mercato.
La Gran Bretagna dando in affitto il suo etere ottiene circa 5 miliardi di sterline l’anno (grosso modo quanto si incasserebbe vendendo una tantum i terreni agricoli) contro i poco più di 50 milioni di euro che ottiene l’Italia.
Una buona amministrazione del patrimonio pubblico richiede sopratutto ordine, chiarezza nelle regole del gioco e democrazia nel decidere sulle cose di tutti. Le regole attualmente vigenti sono obsolete, oscure e quindi agevolmente eludibili. È importante farne di nuove e dotarle di innovativi strumenti applicativi. Una legge delega sulla riforma di beni pubblici predisposta dalla Commissione Rodotà contenente chiarezza su quali beni siano comuni e come vadano amministrati non è mai stata neppure discussa. Proprio nei momenti di maggior crisi sarebbe bene che alla logica della svendita subentrasse quella del buon padre di famiglia.
Ugo Mattei (Professore di Diritto internazionale comparato all’Università della California di San Francisco)
Fonte: http://www.corriere.it/
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