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domenica 25 dicembre 2011

Ci fregano pure con il falso bio

 di Paolo Biondani  
dal sito L'Espresso                                        


Grano, orzo, soia, semi di girasole. Coltivati con i fitofarmaci, i pesticidi eccetera. Ma venduti dai grossisti come se fossero naturali ed ecologici. Per farli pagare di più ai dettaglianti e quindi ai consumatori. La Finanza ha scoperto la truffa. Ma si teme non sia l'unica


La grande truffa del falso bio era una macchina da soldi capace di superare tutti i controlli affidati per legge al ministero dell'Agricoltura. Con buona pace dei consumatori che sognano un'Italia più verde. E dei tanti produttori onesti di sano e vero cibo senza chimica.


Il classico sassolino che fa inceppare un ingranaggio in grado di truccare il 10 per cento di questo mercato made in Italy è una verifica fiscale, che di per sé mira a scovare evasori, non frodi alimentari. Nell'estate 2010 la Guardia di Finanza ispeziona una ditta veneta di commercio all'ingrosso di farine e mangimi. Nonostante la crisi il fatturato è in crescita esponenziale: da 9 a 49 milioni di euro. L'impresa dichiara, tra l'altro, di aver comprato in Italia e rivenduto in Austria e Germania circa 400 tonnellate di soia certificata. Mettendo in fila quelle prime fatture, i militari notano che i carichi con il marchio bio sono al centro di una carovana di trasporti sospetti. La merce non si limita a passare dall'agricoltore al grossista, prima di varcare la frontiera e finire nei supermercati mitteleuropei. Sulla carta, la soia fa lunghi viaggi che sembrano inutili triangolazioni.

La Finanza sente puzza di fatture false. Allarga i controlli ai trasportatori. E scopre camion che non avevano pagato l'autostrada. O che risultavano fermi nei depositi. Dopo i primi interrogatori in caserma, a cedere è proprio il fronte dei Tir. Il primo camionista dice di non ricordare. Il secondo giura che gli si era rotto il cronotachigrafo, per cui non può ricostruire il percorso. Ma gli altri ammettono: mai fatto quei trasporti, la soia in realtà non si era mai mossa dai magazzini. Un reato fiscale che fa partire la caccia al movente: perché un grossista fornito della preziosa certificazione bio ha bisogno d'inventare viaggi inesistenti?

La risposta arriva il 6 dicembre, quando la Finanza chiude la prima fase dell'inchiesta con sette arresti non solo per i reati tributari, ma anche per la sottostante maxi-frode commerciale: 704 mila tonnnellate di normali prodotti agricoli smerciati con un marchio bio in realtà ingiustificato, per un valore all'ingrosso di oltre 210 milioni di euro. A conti fatti, la truffa riguarda un decimo dell'intero volume di spesa per il biologico italiano. Mettendo in fila i carichi incriminati, si otterrebbe una colonna di camion lunga decine di chilometri. Le fatture considerate false chiamano in causa, per ora, 22 aziende italiane e 16 straniere: le nuove indagini, avviate anche in altri Paesi europei, dovranno accertate quali fossero complici o soltanto vittime di raggiri altrui. Gli indagati sono già 14. Ma con le prime confessioni degli arrestati lo scandalo promette di allargarsi a macchia d'olio.

Di certo la Bioagri sas, la ditta da cui era partita la verifica sui Tir, non è la società più grossa né la più compromessa. Infatti la titolare, un'imprenditrice veronese di 46 anni, è inquisita solo per i reati fiscali. Per gli altri è scattata l'associazione per delinquere, che presuppone una catena sistematica di frodi, durata almeno quattro anni. "Dalle indagini non risulta che sia mai stata messa in pericolo la salute dei cittadini", tiene a precisare il colonnello Bruno Biagi, comandante della Guardia di Finanza a Verona: "Le frodi consentivano di vendere con il marchio bio, a prezzi maggiorati, prodotti agricoli che si sarebbe potuto comunque commercializzare, ma come alimenti convenzionali e quindi a tariffe ridotte fino a un terzo".

La frode riguarda 16 colture di base falsamente presentate come biologiche. Il grosso della torta da 220 milioni è costituito da cereali: nell'ordine, soia, grano tenero, mais, semi di girasole e orzo. Trasformati in farine, garantivano un'etichetta verde anche a decine di prodotti a valle, confezionati dall'industria alimentare. Ma non mancano ortaggi e frutta, soprattutto mele, o mangimi per allevamenti, che producevano carni o salumi biologici solo sulla carta.

I grossisti arrestati compravano a prezzi normali, cioè bassissimi, da contadini sparsi tra Puglia, Marche, Emilia, Veneto e Romania. Appiccicavano il marchio bio. E poi rivendevano a tariffe gonfiate soprattutto in Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Ungheria e Romania. L'Italia è prima in Europa per produzione ed esportazione di cibo verde: ora il rischio è che lo scandalo danneggi migliaia di agricoltori onesti.


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