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mercoledì 31 maggio 2017

MODELLO ECONOMICO DOMINANTE




Secondo voi, le persone che hanno successo in questa societa' (in campi legati all' economia e il potere) che basa la sua stessa esistenza sulla competizione, potrebbero raggiungere questo successo grazie al fatto che sono semplicemente individui psicopatici?

A questo proposito vi invito a leggere questo estratto da un documento redatto dagli amici del Deviance Project : "Il Manifesto", che potrete leggere online, scaricare gratuitamente in formato pdf, oppure richiederne la versione cartacea.


Buona lettura.







MODELLO ECONOMICO DOMINANTE



DEFINIZIONE 

Il concetto di Modello Economico Dominante, visto nell’ottica di invariante, necessita di alcune premesse. 

Il termine Economia, nella sua basilare accezione, significa semplicemente l’organizzazione e la gestione di risorse, che non siano infinite, per il soddisfacimento dei bisogni. Il termine apparentemente sembra rappresentare quindi un’azione necessaria, logica e indispensabile per qualunque individuo e per qualunque società.  

Nel corso della storia abbiamo visto succedersi svariati Modelli Economici che però presentavano molti punti in comune, cardini tuttora presenti nei principali modelli economici ed è su questi che ci concentreremo. Possiamo quindi considerare il Modello Economico Dominante come una superInvariante che contiene delle sotto-Invarianti che sono: Occupazione, Crescita, Moneta, Competizione. 

La prima cosa che possiamo già notare è che la definizione di Economia che abbiamo dato poco sopra è ben distante da quello che i sistemi Economici rappresentano oggi. 
Stando alla dottrina, l’Economia dovrebbe appunto basarsi principalmente su due pilastri:   
1) Gestione delle risorse.
2) Soddisfacimento dei bisogni.

I Sistemi Economici disattendono completamente entrambi i crismi. Vediamo perché:

1) I Sistemi Economici non hanno mai tenuto conto, nelle loro equazioni, di quello che è il valore reale delle risorse e della loro sostenibilità (bilancio tra il loro consumo e le tempistiche di rinnovo naturale), anzi, l’unica legge economica che riguarda la disponibilità di un bene o di una risorsa ci dice semplicemente che, quando questa è scarsa, il relativo prezzo aumenta, i beni e le risorse diventano più preziosi. Quindi possiamo dire che non solo i Sistemi Economici non si occupano della gestione delle risorse nel vero senso descritto, ma le loro equazioni fanno sì che la scarsità di un bene o di una risorsa sia una situazione profittabile e quindi auspicabile da chiunque ne abbia interesse. In un mondo globalizzato e con poche multinazionali che controllano una quantità e varietà di prodotti gigantesca, è facile comprendere come la scarsità possa essere una situazione facilmente generabile artificialmente per l’enorme profitto di pochi a scapito della collettività. Effettivamente tutto quello che concerne la sostenibilità dell’uso delle risorse, il loro impatto sull’ambiente, sulla salute, ecc. è stato relegato a un aspetto marginale, di concezione relativamente recente, che potrebbe addirittura mettere i bastoni tra le ruote dei meccanismi economici, quindi anche socialmente e psicologicamente screditato, a volte persino deriso, visto come un pericoloso attacco alla libertà di iniziativa economica garantita dalle nostre moderne costituzioni, un attacco al progresso e al benessere. Un vero ossimoro. 

2) Se la società non è riuscita a soddisfare i bisogni primari dell’essere umano, i Sistemi Economici hanno completato l’opera facendoli diventare semplice merce di scambio. L’economia non risponde ad alcun bisogno che non sia fonte di guadagno e quindi apparente fonte di progresso e benessere. Tutti i bisogni primari, individuali, collettivi, sociali che non generano un profitto non rientrano in alcuna equazione. Un ottimo esempio di questa assurdità è il termometro usato per stabilire la solidità economica di uno stato: il PIL.  Questo strumento considera fattori positivi di crescita elementi socialmente contrari al soddisfacimento dei bisogni e della felicità della collettività come la produzione di armi, di farmaci, aumento dell’inquinamento industriale, ecc.  Paradossalmente, attività positive come potrebbero essere la diminuzione dei crimini, dell’inquinamento, dei consumi e dello spreco, delle malattie e di altri problemi sociali, sono visti come deleteri per la situazione economica perché di fatto, secondo i canoni del modello economico dominante, queste attività comportano una diminuzione dei posti di lavoro, dei fattori di produzione, una minore circolazione di beni e servizi ecc.  

In questa visione appare chiaro che il Modello Economico Dominante non è uno strumento per il soddisfacimento dei bisogni ma, patologicamente, è un insieme di regole, leggi, assunti, dogmi autoreferenziali assolutamente privi di qualunque connessione con la qualità reale degli elementi in gioco e la realtà della vita delle persone. Le sue regole trovano nutrimento cannibalizzando i nostri bisogni, il nostro lavoro, il nostro tempo, la nostra intera vita e vengono strumentalizzati con l’unico scopo di mantenere il sistema economico col pretesto falso e doloso che il suo essere “in salute” equivalga al nostro essere “in salute” quando in realtà è esattamente l’opposto. È come seguire i consigli di un dottore il cui unico interesse è quello di guadagnare dalla malattia del proprio paziente. 



OCCUPAZIONE 

Un altro elemento esemplificativo di questa follia è il concetto di Occupazione. Come abbiamo visto, all’interno della finzione economica il Lavoro non segue i reali bisogni della collettività. Una conseguenza di questo è il fatto che uno dei punti chiave e massimo traguardo del Modello Economico Dominante è la piena occupazione. Appare evidente quanto sia assurdo e scollegato dalla realtà un sistema che funziona e prospera perseguendo una situazione in cui tutte le persone siano “occupate” e quindi lavorino, a prescindere dalla valutazione di cosa sia davvero necessario fare per soddisfarne i bisogni, valutazione che dovrebbe essere l’unico requisito su cui basare la concezione e l’organizzazione del lavoro. Il Modello Economico Dominante non punta a liberare l’essere umano dal lavoro, bensì ha bisogno che l’essere umano lavori.  



CRESCITA 

Alla base di questa scelta di direzione, comunemente data per scontata da economisti e politici, c’è un’idea illusoria chiamata crescita, ossia la credenza che il concetto di ricchezza di una comunità si concretizzi nella necessità di una sua crescita virtualmente infinita che però non fa riferimento al miglioramento delle condizioni socio economiche, ma esclusivamente al PIL e quindi a una valutazione totalmente sconnessa dalla realtà. 

La crescita è un fattore imprescindibile che si realizza nell’illusorio matrimonio tra la piena occupazione (quindi del lavoro) e la produzione di beni e servizi, considerati nella finzione economica la vera ricchezza. È necessario che la richiesta di beni e servizi aumenti costantemente a prescindere dal reale bisogno (la cosiddetta domanda), infatti la funzione di ogni operatore economico non è solo quella di soddisfare la domanda esistente, ma si concentra soprattutto nel crearne il più possibile per poterla coprire e così incrementare il ciclo economico “domanda-produzione-lavoro-consumo”. 

Un’ultima osservazione sulla fallacia del concetto di crescita infinita, con rilevanza alla definizione di economia, riguarda la palese contraddizione tra la gestione oculata delle risorse (teoricamente imprescindibile) e il loro sfrenato consumo sacrificato a questo paradigma imperativo dell’economia stessa. Quindi possiamo dire che l’economia ha in sé un paradosso illogico che nessuna teoria economica si prende la briga di giustificare e tantomeno risolvere. 



MONETA 

Lo strumento senza il quale il Modello Economico dominante non potrebbe funzionare è la moneta. A prescindere dal suo stato materiale o virtuale, rappresenta l’unità di misura che sostituisce il valore reale di beni e servizi, teoricamente per una maggiore comodità al fine dello scambio. 

In questo sistema di cose, quindi, qualsiasi bisogno economico è quantificabile in una somma monetaria. Psicologicamente questo crea due principali meccanismi.  Il primo è quello di sconnettere l’interpretazione umana del valore reale e intrinseco di beni e servizi relativi ai nostri bisogni, con il loro valore monetario dettato invece da leggi di mercato influenzabili da una quantità di variabili indefinite, aleatorie e spesso non connesse alla realtà delle cose. Il secondo meccanismo, direttamente correlato al primo, è quello di sostituire la soddisfazione diretta del bisogno con la ricerca del capitale necessario al suo acquisto. Questo aspetto può sembrare banale ma, a pensarci bene, chiunque abbia bisogno di un certo bene sarà obbligato a tollerare anche possibili danni o azioni inutili per acquisire il capitale necessario per averlo, commettendo azioni che mai avrebbe compiuto se non avesse avuto bisogno di un capitale finanziario. Infatti se provassimo a pensare a 10 modi per ottenere un capitale procurando danno a persone o cose, siamo certi che verrebbero in mente molte ipotesi, facilmente anche più di 10 (rapimento, usura, spaccio, truffa, furto, ecc.), mentre con molta più difficoltà verrebbero in mente azioni benevole con lo stesso scopo. 

Una conseguenza drammatica di questa sconnessione tra valore reale e valore monetario, unita alla necessità di dover compiere un lavoro spesso non necessario e spesso non scelto solo per arrivare a soddisfare bisogni primari, obbliga a vivere gran parte della vita in un’illusione. Col tempo questa finzione si radica a tal punto che, anche nei pochi momenti di riposo dal lavoro, essa viene perpetuata volontariamente coltivando interessi che riproducono l’illusione stessa, addirittura vivendola passivamente attraverso un mezzo elettronico. 

A dimostrazione che questa è un’attitudine generale, basti notare come, persino nella parte privilegiata della società e del mondo, l’attivismo (sociale, artistico, di protesta, ecc.) sia un pratica di nicchia spesso mal vista. Un’attività oltretutto anche difficilmente praticabile vista la scarsità di tempo, energie e risorse di cui si dispone quando si è costretti a lavorare per la semplice sopravvivenza, condizione non a caso sempre più diffusa.  



COMPETIZIONE 

Il fisico teorico Emilio Del Giudice, pioniere della teoria delle stringhe nei primi anni settanta, ci ha spiegato chiaramente che “la legge della biologia richiede la cooperazione, mentre la legge dell’economia richiede la competizione, quindi in questo senso l’economia è intrinsecamente un fatto patologico.  La specie umana non può avere la possibilità di formarsi se i suoi componenti non hanno la possibilità di risuonare tra di loro, perché la competizione è evidentemente contraria alla risonanza. In questa condizione il problema della salute e della felicità non potrà mai essere risolto, con buona pace di tutti gli psicologi che non potranno che ottenere risultati transitori.” 

Lo stesso concetto di guadagno così banalmente accettato e auspicato, non solo da tutte le dottrine economiche ma anche dall’intera società, si rivela in tutta la sua follia davanti alla semplice osservazione che il guadagno è qualcosa di non necessario e che, di conseguenza, si è tolto a qualcun altro. Forse il fatto che si chiami “venduto” qualsiasi cosa o persona abbia perso i propri valori o sia stato denaturato e abbia perso di vista il suo scopo primario è indice di quanto in realtà il senso comune ci vorrebbe antagonisti di un modello sociale basato sullo scambio economico. 



ANALISI DELLE INVARIANTI ECONOMICHE 

Continuando la nostra indagine basata sulla psicologia sociale, cosa ci dice questa delle Invarianti economiche? Da numerosi e recenti esperimenti sociali mirati a capire come i soldi e i rapporti economici influenzino le persone, è chiaramente emerso che più il grado di ricchezza di una persona aumenta, più diminuiscono i suoi sentimenti di compassione ed empatia, addirittura i ricchi hanno la tendenza a moralizzare l'avidità come fosse un valore.  Attraverso questi esperimenti si è notato come, ad esempio, le auto più costose sono quelle che si fermano meno presso i passaggi pedonali; che davanti ad una offerta incondizionata di soldi, sono i ricchi a prendere più soldi rispetto ai poveri; le persone con reddito più alto sono più inclini a prendere delle caramelle a loro vietate perché destinate ai bambini… 

Una serie di esperimenti più interessanti riguarda delle partite di monopoli in cui i partecipanti erano perfettamente consapevoli della manipolazione della partita in modo che uno di questi fosse palesemente più ricco e avvantaggiato dell’altro. L’esperimento consisteva nel verificare il cambiamento di comportamento dei giocatori durante la partita. Si è notato come i giocatori favoriti muovevano le pedine più rumorosamente, erano più inclini allo sfottò, mangiavano più salatini posti sul tavolo per entrambi dagli esaminatori e, addirittura, i giocatori favoriti erano soliti attribuire la vittoria della partita non alla manipolazione delle regole in loro favore, al vantaggio iniziale o alla fortuna di essere stati scelti per quel ruolo, ma alla loro abilità nel gioco. È interessante sottolineare come la stessa partecipazione alla partita sia una tacita accettazione dell’equità delle regole. In particolare, nel monopoli, chi gioca accetta di avere come scopo la monopolizzazione delle risorse a scapito degli altri e mai si sognerebbe di giocare per perdere o anche solo per mantenere un equilibrio con gli altri giocatori. La nostra società è così diversa dal monopoli? A giudicare dalle analogie con la realtà, il gioco del monopoli sembra una fedele riproduzione del Modello Economico Dominante semplicemente in scala ridotta. 

Per citare un articolo apparso sul Guardian nel 2011 a firma di George Monbiot: “Intelligenza? Talento? No, gli ultra-ricchi arrivano ai loro privilegi grazie a fortuna e brutalità.  Se la ricchezza fosse il risultato inevitabile di duro lavoro e di impresa, ogni donna in Africa sarebbe milionaria. […] Molti di coloro che sono ricchi oggi, lo sono perché sono stati in grado di accaparrarsi alcuni posti di lavoro. Questa capacità è derivata non dal talento e dall’intelligenza, ma da una combinazione di sfruttamento spietato degli altri e dalle condizioni in cui sono nati, visto che tali posti di lavoro sono distribuiti in modo sproporzionato in base al luogo di nascita e alla classe di appartenenza.” Il giornalista prosegue citando i risultati dello psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, che demoliscono ciò che si pensa dei personaggi di successo della finanza. Infatti egli ha scoperto che il loro apparente successo è un’illusione cognitiva. Ad esempio ha studiato i risultati ottenuti da 25 consulenti finanziari in otto anni di carriera e ha scoperto che la coerenza delle loro performance è stata pari a zero, ovvero "i risultati assomigliavano a quello che ci si aspetta da un lancio di dadi, non da un gioco di abilità." Coloro che hanno ricevuto i più grandi bonus avevano semplicemente avuto più fortuna. Tali risultati sono stati ampiamente replicati. Essi mostrano che i commercianti e gestori finanziari di tutta Wall Street ricevono la loro massiccia remunerazione per eseguire un lavoro che è paragonabile a quello di uno scimpanzé che lancia una monetina. Quando Kahneman ha cercato di farlo notare venne ignorato perché “l'illusione di avere un’abilità [...] è profondamente radicata nella loro cultura."  



PSICOPATIA DEL POTERE 

Per la psicologia sociale non è un mistero che la psicopatia e il successo nella società, in rami legati al potere e all’economia, abbiano uno strettissimo legame. Per psicopatico s’intende una persona con un basso o nullo tasso di empatia verso il prossimo e che quindi non prova rimorso a compiere atti che ledano gli altri; un soggetto perciò senza scrupoli, responsabilità, sensi di colpa; un soggetto che presenta una netta tendenza alla menzogna, alla manipolazione, al cinismo; che è estremamente egocentrico e per ottenere dei risultati non guarda in faccia nessuno. Quando usiamo il termine “psicopatia” non lo intendiamo assolutamente con riferimento all’approccio che ne ha la psichiatria: infatti vogliamo ben allontanarci dalla visione medicopatologica di un comportamento (in questo caso la psicopatia appunto) che riteniamo un’assurdità scientifica ma prima di tutto logica, il più delle volte usata per reprimere comportamenti che si discostano da uno standard socialmente accettato. Nel nostro caso stiamo usando la parola “psicopatia” semplicemente per indicare un insieme di comportamenti che hanno ripercussioni negative sul prossimo e sulla società. 
 Molti studi, libri e ricerche in questo campo (come la ricerca “Disordered Personalities At Work” del 2003, di Belinda Board e Katarina Fritzon dell'Università del Surrey, o come il saggio “Psicopatici al potere” di Jon Ronson, giornalista, scrittore e sceneggiatore britannico, o come il libro di Luigi Zoja, psicoanalista e laureato in economia, “La morte del prossimo“ del 2009) hanno denunciato come, nella realtà delle cose, siano le persone tendenti alla psicopatia quelle che hanno più successo nella società.  Il motivo di questo successo va ricercato proprio nei meccanismi su cui si basa la società e nei mestieri che ne determinano i cambiamenti essendo più incisivi sulla società stessa come possono essere la finanza, la politica, la giustizia, ecc.  

Da questi studi emerge in maniera evidente che le persone che non hanno alcuna tendenza alla psicopatia e quindi sono generose, buone, altruiste e con forte senso empatico, fanno fatica ad emergere nei campi chiave della società poiché questi espressamente richiedono doti opposte. Quindi in questo sistema di filtraggio naturale delle personalità e dei comportamenti, vediamo attuata una automatica selezione che fa arrancare i buoni ed emergere gli psicopatici, ottenendo come inevitabile ed ovvio risultato un mondo governato e gestito da psicopatici. La psicopatia è probabilmente il carattere psicologico più antisociale che esista eppure, a causa dei meccanismi creati dalle Invarianti, abbiamo creato un modello di società in cui questo è diventato un tratto positivo e auspicabile per avere successo, una marcia in più per diventare leader in qualche settore. 

Questa è la conseguenza di un sistema in cui proliferano i “corporate psychopath” (termine coniato da Babiak, Neumann & Hare nel 2010), ovvero psicopatici aziendali o cosiddetti psicopatici di successo che, attraverso le caratteristiche tipiche dello psicopatico criminale medio (quindi mancanza di empatia e di rimorso, egocentrismo, tendenza a manipolare), in combinazione a contesti familiari ed economici favorevoli, ottengono quello che vogliono dietro un paravento di normalità. Infatti è anche grazie all’accettazione da parte nostra che queste attività criminali fioriscono proprio perché, ad esempio, abbiamo accettato di chiamare “strategia aziendale” azioni che possono ledere più di quanto possa fare un pericoloso criminale di strada. 

Nel ramo dell’economia e della finanza, secondo Luigi Zoja, “l’accelerazione imposta alla società dalla rivoluzione informatica e dalla competizione del mercato ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e scrupoli, favorendo l’emergere di tipi intuitivi, cinici, opportunisti”.  Questa è una conseguenza prevedibile dei meccanismi di dissociazione intrinsechi all’economia che portano all’assopimento della normale e naturale attitudine all’empatia poiché avere cura e preoccuparsi del prossimo diventano degli ostacoli quando si ha a che fare con il raggiungimento di obiettivi economici, guadagno e rendimento finanziario.  

Molti pensano che si potrebbe porre un freno a questo problema sottoponendo i manager ad un test psicologico per allontanare il pericolo che questi presentino comportamenti antisociali. Ovviamente questo è assurdo: in primis l’esperimento di Stanford ha ampiamente dimostrato come elementi considerati normali possano sviluppare comportamenti antisociali se posti nel contesto opportuno. Secondariamente sarebbe a dir poco illogico selezionare persone empatiche e “buone” per fargli gestire un settore in cui, per definizione, si ricerca guadagno e ricchezza, che si basa perciò su un comportamento predatorio a spese del prossimo in cui vincere significa, per forza di cose, fare in modo che l’altro perda. 

È assurdo nella nostra società pensare di doversi preoccupare maggiormente di comportamenti antisociali come i crimini comuni (furti, omicidi, stupri…), nell’immaginario collettivo portati a compimento dalle persone peggiori che esistano, sempre in vetta alle cronache, sulle prime pagine dei giornali e per cui ci si affanna quotidianamente a trovare una soluzione, quando il comportamento antisociale per eccellenza, la psicopatia, è premiato dal sistema e genera i peggiori crimini della storia come guerre, genocidi, crack finanziari, bolle speculative, colpendo migliaia, milioni di persone alla volta. Siamo di fronte ad un sistema che favorisce il concretizzarsi dei più gravi e dannosi crimini concepibili semplicemente facendo sì che i criminali siano favoriti per il comando. Questo avviene automaticamente, per le regole su cui il sistema è basato e che non riusciamo a criticare, tanto che persino i crimini generati diventano qualcosa di accettabile, al punto che un omicidio efferato scatena più emozioni negative e di disgusto di un bombardamento a tappeto o della fame nel mondo. In poche parole abbiamo un modello sociale che premia comportamenti che distruggono la società. 



QUINDI, ECONOMIA? 

Tornando alla definizione di economia, in particolare al concetto di risorsa e della sua gestione a seconda dei bisogni umani, è adesso molto più chiaro quanto sia fallace la mentalità economica: l’ottica necessaria a far funzionare qualsiasi tipo di economia è quella di vedere ogni cosa, persona, animale e la stessa terra come una risorsa da gestire e sfruttare, subordinata al bisogno e alle necessità umane.  

Questa visione del Tutto come un oggetto “consumabile’’ genera psicologicamente una dissociazione e apre le porte all’abuso di quel Tutto a seconda dei bisogni umani (anche indotti). Le regole della natura impongono un bilancio e una connessione continua fra le sue componenti quindi un qualunque elemento che si separi da essa e veda tutto il resto come qualcosa da gestire, usare, sfruttare, non importa in che modo, svela una forma mentis pericolosa, fallimentare e autodistruttiva già a monte. Perciò non dovrebbe stupirci il fatto che i modelli economici si siano sviluppati nel modo canceroso che abbiamo descritto, proprio perché costruiti su questo cardine psicologico troppo spesso sottovalutato. 



LA NON-ECONOMIA DEL DONO 

Quando parliamo di “non-economia del dono” ci riferiamo a quella che comunemente viene definita “economia del dono”. Il motivo per cui abbiamo anteposto una forma di negazione alla parola economia risiede nelle caratteristiche di questa forma di relazione sociale che, in effetti, non ha nessun punto in comune con l’economia. La non-economia del dono infatti non presenta il concetto di scambio, di guadagno, di valore, di competizione che sono invece fondanti nel concetto classico di economia. 

Quello che abbiamo affermato sin qui sull’economia potrebbe portare alcuni ad equivocare che uno scambio di beni e servizi non sia possibile e che addirittura si metta in discussione il soddisfacimento dei nostri bisogni, ma basta l’esempio della noneconomia del dono a scongiurare questa visione. 

La non-economia del dono, da non confondere col baratto, non fa nascere lo scambio di beni e servizi da un accordo basato sul presunto valore degli stessi. Lo scambio avviene invece su un principio di buon senso per cui, davanti ad un bene e una persona che ne ha bisogno, non c’è nessun buon motivo ad ostacolarne la convergenza. 

Persino nel baratto, dove il valore dei beni e servizi è meno manipolabile e più vicino alla realtà, le persone sono già portate a dare meno per ricevere di più continuando a supportare la competizione umana tipica del Modello Economico Dominante. Il fatto è che legare gli scambi economici al loro valore, plasma una società basata sulla diffidenza, sull’ottenimento del massimo profitto che inevitabilmente è la perdita di qualcun altro, generando una spirale di sospetto e sfiducia velenosi per qualsiasi società. La rete di rapporti umani che si creerebbe invece con la non-economia del dono concretizzerebbe una prevenzione dei conflitti sociali di gran lunga superiore ai migliori modelli educativi proposti dal sistema che ovviamente sono soffocati e disinnescati dall’infestante competizione economica. 




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