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venerdì 11 novembre 2016

Continuo a scegliere colore e forma delle mie catene o le spezzo?

Idee e riflessioni sull’astensionismo attivo, crescente e generalizzato come strategia rivoluzionaria. Per una critica al fronte del No sociale al referendum costituzionale.


Che sia da Est o da Ovest, gran parte delle attuali correnti costituenti l’etere socio-politico, aldilà della loro origine e del loro livello di consapevolezza, marciano impetuose in direzione opposta alla crescita e allo sviluppo delle lotte sociali nel nostro paese.
In particolare, la contro-campagna intrapresa negli ultimi mesi al fine di indurre alla scelta del “No” al referendum sulla riforma costituzionale, la cui data di voto è stata fissata al 4 di dicembre, è un esempio di iniziativa che sta mettendo tutti d’accordo, o quasi; un’ultima spiaggia che sta fungendo da collante a realtà diversissime le une dalle altre. È impressionante constatare come quasi ogni area dell’opposizione, o sedicente tale, si ritrovi a viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda, dai fascisti di Casa Pound ad una buona fetta dell’estrema sinistra extraparlamentare. Uno scenario che ha del surreale, e che ci espone le cronache di una sacra alleanza di carattere legalitario e di dubbio gusto, mossa in parte da una sorta di timore esasperato in merito ad una generale ed imminente deriva totalitaria conseguente all’ampliamento del potere dell’esecutivo intuibile dalla formulazione della riforma, e in parte dalla volontà comune di esternare il proprio sentimento di sfiducia nei confronti dell’attuale direzione di governo, e più ambiziosamente, scacciare il premier Matteo Renzi (autore della procedura di personificazione della manovra) dal suo trono parlamentare, scardinare dalla radice il sistema piddino, e a detta dei propagandisti in questione, cambiare le carte in tavola. Come? Semplice, subordinando le lotte alle scadenze istituzionali e girando la ruota del governante di turno, spianando di fatto la strada all’ascesa di un governo a 5 stelle, e ad un’inevitabile declino del fronte rivoluzionario.

Per poter comprendere al meglio di cosa si sta effettivamente parlando è necessario mettere in evidenza come la nostra costituzione non possa che essere considerata non più di un mero precipitato normativo dei rapporti di forza di classe del 1946. Se chi detiene il potere dovesse decidere di modificarla ulteriormente in un senso più autoritario e neoliberista, impresa che per giunta è stata già portata a termine per più e più volte in campo pratico, senza necessità di corrispondenza di un consenso formale da parte della cittadinanza, allora non sarà di certo un più che convinto “No” su di una scheda in carta stampata a capovolgere la situazione, e meno che mai ci riuscirà l’implicito tentativo di tutela e mantenimento dell’integrità di quel documento considerato inviolabile, e che rimane in ogni caso a fondamento e a garanzia del riconoscimento dell’istituzione dello stato democratico borghese, dell’attuale ordinamento giuridico e di tutto ciò che implica la sua stessa sopravvivenza. Il foglio costituzionale è stato trascritto dagli ex-statisti di quella che è l’attuale e consolidata democrazia rappresentativa, non, come vorrebbero farci credere, dai nostri “nonni”…I nostri “nonni”, partigiani sulle montagne o semplici cittadini, non avevano diritto di parola, i primi furono disarmati con l’inganno, prima di poter ammirare l’avvento della Repubblica e il miracolo dell’amnistia togliattiana; i secondi vennero convinti del fatto che la giustizia aveva trionfato, che mai e poi mai all’orizzonte si sarebbe anche solo più intravista violazione di alcuna libertà umana, che avremmo finalmente vissuto in un mondo assai migliore.

Ma basta guardarsi intorno per rendersi immediatamente conto che le cose purtroppo stanno diversamente, che il paradiso avveniristico che tanti sognavano è lontano anni luce dalla sua realizzazione. La crisi che grava sul popolo lavoratore, il clima dell’Austerity, la repressione del dissenso e le guerre, condannate dall’Art.11 della Costituzione Italiana ma regolarmente finanziate ed intraprese con assoluta serenità, servendosi della dicitura di “missioni di pace”, sono elementi cardine che possono essere contrastati solo ed esclusivamente spodestando i tiranni che le provocano, i quali decidono di portare avanti le loro politiche di oppressione e di controllo sociale con la complicità dell’elettorato, nel nome del profitto e della salvaguardia della propria posizione di privilegio; questo percorso, però, può concretizzarsi unicamente attraverso una serie di pratiche che mirino ad inceppare i dispositivi di morte, che si inseriscano nella necessità di realizzare la più completa e totale abolizione di ogni forma di potere, che sia essa più esplicitamente manifesta, o mascherata sotto il nome di democrazia, di socialismo di stato, o di una qualsivoglia altra macchinazione di stampo autoritario.

L’interesse e il benessere di tutti i popoli può essere perseguito efficientemente per mezzo dell’azione diretta e della lotta autogestionaria, non di certo usufruendo di uno strumento magnanimamente concessoci dai vertici istituzionali, e i cui risultati, soprattutto in Italia, sono stati spesso e volentieri disattesi, grazie ad un accurato processo di neutralizzazione perpetrato dal Parlamento, attraverso l’approvazione di nuove leggi e diversi altri aggiramenti di tipo politico [vedi il referendum sull’acqua pubblica (o meglio “statale”), il finanziamento ai partiti, l’abolizione del Ministero dell’agricoltura, ecc. ecc.], fatti concreti all’attenzione di chi invece continua a considerare questa pratica (l’isituto referendario), come la più pura espressione della democrazia diretta nel nostro paese, quando non è che l’illusione di una reale partecipazione attiva alla vita politica di tutti i giorni; insomma, uno specchietto per le allodole che ha l’unico scopo di annacquare e frammentare le lotte sociali tentando di incanalarle tutte alle urne, e deludendo anche chi, ritrovandosi in una situazione di concreta difficoltà economica, la quale va a minare la qualità della vita e la possibilità di avere stabilmente un tetto sopra la testa senza ritrovarsi assaliti dalla paura di essere, da un momento all’altro, le prossime vittime di uno sfratto, non nutre più alcuna fiducia nel metodo elettorale, e vede nei movimenti una svolta di cambiamento reale, una scelta radicale ed auspicatamente libertaria, che proponendosi come unica alternativa possibile all’esistente, sfocia nella mobilitazione territoriale e mette concretamente in discussione il principio della proprietà privata e l’esistenza stessa dell’apparato statale.

Ma una domanda sorge ora spontanea: “Siamo all’altezza della situazione? Siamo in grado di rispondere in prima persona alle esigenze degli oppressi e degli sfruttati? Siamo pronti ad agire sul presente per assicurarci un futuro?” Chi ha a cuore un cambio di rotta che faccia davvero gli interessi di tutte le genti conosce già la risposta a questo quesito.
“Il 4 dicembre, non scegliere la taglia dello stivale che ti calpesta; il 4 dicembre sii l’insidiosa buccia che lo farà precipitare rovinosamente al suolo; il 4 dicembre non votare, lotta!”

Stefano Depetris


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